Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 31 luglio 2012 La situazione politica trentina (e sudtirolese) sta attraversando la più grave crisi fin dai tempi del varo del secondo Statuto di autonomia nel 1972. Le questioni economico-finanziarie provinciali e regionali si intrecciano strettamente con la drammatica crisi economico-finanziaria a livello nazionale ed europeo, nel quadro di una crisi mondiale che per certi aspetti rischia di essere più grave e più lunga della stessa crisi epocale del 1929-30 (e all’orizzonte non appare ancora un nuovo Roosevelt). Paghiamo ora lo strapotere finanziario, cresciuto a dismisura, e la realtà di una globalizzazione realizzata negli ultimi decenni senza adeguati meccanismi di controllo politico e di regolazione dei mercati. Ma in Italia paghiamo anche l’irresponsabile crescita esponenziale del debito pubblico, che graverà per decenni sulle prossime generazioni. Ha fatto bene il direttore de «l’Adige», Pierangelo Giovanetti, ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica trentina e regionale sull’impatto della crisi attuale nei confronti delle responsabilità politiche e degli assetti istituzionali, che governano l’Autonomia trentina e sudtirolese. Su questo groviglio di problemi vorrei riflettere anche in connessione con l’intervista al presidente Lorenzo Dellai e con l’intervento del senatore Giorgio Tonini, comparsi su «l’Adige». Lo farò schematicamente, per punti, perché sono molti gli argomenti che emergono e che si intrecciano tra di loro. Crisi economica, crisi politica e crisi istituzionale. Non è purtroppo immaginabile che il Trentino (e l’Alto Adige/Südtirol) possano sottrarsi alle proprie responsabilità rispetto alla necessità di far uscire l’Italia dal rischio «default» nel quadro della crisi europea. Il problema istituzionale è come questo possa e debba avvenire non solo nel rispetto del vigente Statuto di autonomia, ma pure – a distanza di soli tre anni dal precipitoso «Accordo di Milano» del 2009, recepito nello Statuto stesso con legge ordinaria (è l’unica parte che non richiede una revisione con legge costituzionale) – ipotizzando una nuova contrattazione della parte finanziaria. E questo anche alla luce sia della modifica costituzionale dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio, sia degli assai gravosi impegni assunti a livello europeo (e ratificati dal Parlamento italiano) col «Fiscal compact», che peseranno in modo durissimo ogni anno, per i prossimi decenni. Sul piano istituzionale è gravissimo che gli interventi ripetuti del Governo Monti (non è solo questione di burocrazie statali centraliste) avvengano ignorando sia l’articolo 116 della Costituzione, che garantisce le autonomie speciali, sia le disposizioni di rango costituzionale dello Statuto e quelle «sub-costituzionali» delle norme di attuazione. Ma, a meno di immaginare ricorsi a raffica alla Corte costituzionale (che sono l’«extrema ratio»), si pone il problema di come arrivare ad una nuova modifica della parte finanziaria dello Statuto con una intesa tra le due Province autonome e lo Stato. E non è detto che lo Stato accetti la logica dell’«autonomia integrale», su cui troppo facilmente, e temo in modo illusorio, si sono attestate sia Trento che Bolzano nell’ultimo anno. «Delegazione parlamentare», Svp e «blockfrei». Ha ragione Tonini a contestare l’espressione «delegazione parlamentare», che implica al tempo stesso estraneità e subalternità. Meglio sarebbe parlare di «rappresentanza parlamentare», la quale comunque non è mai stata così debole e irrilevante come in questa legislatura. Sono davvero lontani i tempi in cui in Parlamento riuscimmo a far approvare la nuova riforma dello Statuto (a mia prima firma), entrata in vigore nel 2001, insieme agli altri quattro statuti delle autonomie speciali, costruendo tutte le alleanze necessarie per ottenere la maggioranza assoluta richiesta per una legge costituzionale. Tuttavia, sia il Pd che Dellai dovrebbero riflettere in modo autocritico sulle proprie responsabilità nell’aver spaccato il centrosinistra trentino nelle elezioni politiche del 2008, accettando supinamente il ricatto «blockfrei» della Svp. È stato un disastro il risultato elettorale (un solo senatore eletto del centrosinistra) ed anche un disastro politico, conclusosi con l’irrilevanza nel Parlamento nazionale e con la Svp tanto «libera dai blocchi» al punto che ora è passata all’opposizione insieme alla Lega e all’Idv. Tonini dice che si è rivelata una scelta «suicida»: è vero, ma era vero fin dal 2008, quando fui io a contestare quella scelta non solo alla Svp, ma anche al Pd e a Dellai, che l’hanno passivamente e giulivamente assecondata, perdendo per strada molti consensi che l’Ulivo si era conquistato nell’arco di un decennio. E, sul piano nazionale oltre che locale, la presunta e pretesa «vocazione maggioritaria» del Pd fece il deserto attorno a sé, lasciando alcuni milioni di italiani senza rappresentanza politica, sull’altare del 33% dei consensi ottenuti col ricatto del «voto utile». La legge elettorale e le prossime elezioni. Vedo che ora si parla di come non ripetere gli errori del 2008 anche nel 2013 (o in eventuali, ma improbabili, elezioni anticipate). Ma, a distanza di pochi mesi dalle elezioni non si sa ancora con quale legge si andrà a votare e – nonostante i ripetuti appelli del presidente della Repubblica a portare tutto e rapidamente alla luce del sole – il tema legge elettorale resta ancora patrimonio esclusivo e «privato» dei tre partiti dell’attuale «strana maggioranza», col rischio che o rimanga l’attuale «Porcellum» o che si riesca persino a fare di peggio, viste le ipotesi «riservate» di cui si parla, senza alcun dibattito pubblico, senza alcun confronto trasparente, nell’ignoranza totale dell’opinione pubblica nazionale. Eppure la legge elettorale è quella che ha maggiore rilevanza costituzionale (pur essendo legge ordinaria) e che condiziona l’intero assetto del sistema politico e del sistema dei partiti. E poi ci si meraviglia se i sondaggi danno Grillo e il suo dileggio politico a cifre iperboliche. Quale «polo degasperiano» e quali alleanze. Non mi risulta che Alcide Degasperi avesse dato vita ai suoi tempi a qualche improvvisazione pre-elettorale. Ognuno è libero di fare le proprie scelte e di inventarsi nuovi «contenitori». Dellai, non da solo, aveva dato vita alla «Margherita» con notevole successo, ma poi – tramontata quella stagione – si è inventato una nuova formula politica ogni anno, senza mai rendere conto pubblicamente dei ripetuti fallimenti (ancora fino a pochi mesi fa era il coordinatore nazionale dell’Api di Rutelli, a suo tempo accolto entusiasticamente a Trento). Suggerirei tuttavia di lasciare in pace il nome di Degasperi, incautamente evocato solo per ammantare di dignità storica un’altra operazione di piccolo cabotaggio, finalizzata a garantirsi l’alleanza col Pd in vista della propria candidatura alle prossime elezioni politiche. Nulla di male in questo (abbandonata finalmente l’ipotesi sciagurata di un quarto mandato consecutivo), ma mi auguro che il Pd – che è sicuramente il principale, ma non unico, protagonista di un nuovo centrosinistra – sia in grado di mettere in atto una politica delle alleanze (su cui Bersani aveva vinto le primarie per diventare segretario) più ambiziosa e lungimirante. «Con Monti oltre Monti». Questa è l’espressione efficace usata da Massimo D’Alema nell’ultima, recente assemblea nazionale del Pd, partito che su questa ipotesi è in realtà profondamente diviso al suo interno. Quello di Monti è un «governo del Presidente» o, come lui stesso disse, un «governo di responsabilità nazionale», ma è una esperienza emergenziale (e quale emergenza! eravamo sull’orlo del baratro) che è difficile ipotizzare possa ripetersi nella prossima legislatura. È più facile immaginare che, subito dopo le elezioni, Monti possa succedere a Napolitano alla presidenza della Repubblica, in un ruolo di suprema garanzia. Ma chi governerà dopo di lui – io mi auguro un centrosinistra largo e coeso – dovrà affrontare anche quei temi dello sviluppo e dell’equità sociale, che, pur evocati all’inizio, sono finora rimasti lettera morta. Sono temi che riguarderanno non solo l’Italia nel suo insieme, ma anche un Trentino (e un Sudtirolo) che non potranno più essere governati come ai tempi delle «vacche grasse». Non solo sono arrivati, e arriveranno sempre più, i tempi delle «vacche magre», ma questo comporterà anche scelte più oculate, rigorose e responsabili nella gestione delle risorse e nelle assunzioni di responsabilità politica. L’Italia ce la può fare, e anche il Trentino ce la può fare, ma a patto di non mettere la testa sotto la sabbia e di saper guardare in faccia la nuova, difficile realtà italiana, trentina ed europea che si sta configurando. Marco Boato
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